Bene intendo, fanciulla:
Nata in Grecia non sei,
Nè il padre era, nè l'avo;
E l'ora che gli DeiT'han conceduta in questo secol pravo,
Corre nel chiuso per tornar nel nulla:
Pur col pensiero in Grecia vivi: e arcanaVoce per l'aria da la tua Corinto,
«Sei mia - ti grida - hai vintoQuel ch'è più duro al mondo, una romana
Anima: segui, prega, piangi, e tornaQui dove Amor tra i ruderi soggiorna.»
Fa una decade, il so, mirabil vaseDa Corinto giungeva a la tua Donna:
A lei che sola impera,
Poi che Vulco morì, queste sue case:
Leggiadro asilo, del Vesévo al piede,
Che il mar giocondo fiede,
Dolce così come la tua Citèra.
Intorno foste al dono tutte; e intantoChe tu arrossi e furtivo ascondi il pianto,
Domitilla dicea: «Madre, ricordiPèrseo, il forte garzone?
Di babbo non trovò gli orecchi sordi,
Che libertà gli diedeMorendo. E quei, come avesse lo sprone
A' fianchi, anno, salpò, s'anco lasciasseSparso di lagrimette un caro viso.»
Qui con mite un sorrisoA te diede del gomito, e si trasse
Più al vase accanto Domitilla: il ditoAlzò gentile a perlustrar gli ardenti
Magistrali contorni; e in molli accenti:
«Andromeda è costei -
Disse... - ed il mostro, mamma, tu non sei.
No, non serve Medusa,
Sciorrai tu le catene a la mia Musa.»
Arria, la mesta facciaSerenando, v'abbraccia:
«So - dice - un navalestroCh'era di casa Vulco il braccio destro:
S'andrà, dunque, a Pozzuoli:»
Poi, sospirando: - «E resteremo soli.»
Andaste. E qual v'assalse,
Pie colombelle fuor del nido uscite,
Stormo di voci paürose, insane,
Da la torbida Roma!
Non sa questa Campania
| |
Grecia Grecia Corinto Amor Corinto Donna Vulco Vesévo Citèra Domitilla Medusa Musa Vulco Pozzuoli Roma Campania
|