La furïal di cose transumaneSete ardente che smania
Del Palatino là sotto i tonantiVertici, e l'alta, indoma
Balìa d'afri giganti,
Cui d'innocenti vite unqua non calse,
E il vino e il sangue e le vergini ignudeDal talamo a le mude
Tolte a trastullo, e d'Asia ogni nequiziaA scettrato fanciul nova delizia.
Tu d'Evònimo padre al collo stretta,
Delia, tremavi: e la sua gemma elettaDi verecondo pallio Arria coprìa.
Giungeste alfine. Il buono Eufrate, il siroNocchier, non era in casa: a la sua Scòla
Era; un collegio, dicea Febe, l'agraMogliera sua, dove la bella sagra
Avean dismessa per udir certunoVenuto di Sorìa,
Un prigione, un girovago, una spia:
Ch'altr'essere potea, se come spolaLa lingua tutto il dì quel tessitore
Menava, e co' soldati era tutt'uno?
O curïose! Vi pigliò prudoreD'udirlo: e foste dritto al Confessore.
Macro l'uomo, sparuto; avea le guancieDi negra barba ispide; le mani
Moveva catenate;
E dicea: «ComportateLa mia pazzia, se son pazzo, germani.
Cinque fiate di corde, e fui percossoTre fïate di verghe;
In fatica, in travaglio, in fame, in sete,
In perdute stamberghe,
Nel mare da procelle alte commosso,
Fra l'inimiche lancieSoffersi, perigliai:
E però mi vedeteDe' miei mali superbo e de' mie' guai.
Però che Iddio nel suo Figliuolo in formaSimigliante a la carne del peccato,
La carne ha condannato:
E chi vive a la carneInimico di Dio, non vedrà orma
Del prossimo suo regno:
Ch'è la carne ritegnoNei lacci de la morte:
Sol quei che sappia a tempo il piè ritrarneQuegli sol spezzerà l'empie ritorte.
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