O mastro Pico,
Quei dal gozzo e dal neo,
Non la vide in su l'alba,
Che la luna falcata facea scialba?»
Cosi 'l popolo cieco. E non so dirviSe la grama pastora,
Oppur sia la gentile orfana accoltaDal signor Duca nel vicin castello,
La poverina, che, le treccie sciolta,
Di ruvido contrita aspro cilicioLe tenui membra, e scalza,
Il giudizio fatal sul fiero attendePalco di morte. Al collo
Rozza fune serpeggia, e in vista, al Sole,
Sovr'omeri possentiLarga lama d'acciar manda faville.
Quanta ressa d'intorno e che stemmatiPadiglioni superbi, e come intenti
Tutti gli occhi a l'aringo!
Del Tempio un Cavaliero
Sta per l'accusa. Chi starà pe 'l vero?
Ei giunge, ei giunge, il difensor. La spemeCon l'ambascia contende
Nel dolce viso a la gentil. Già ferveAspra la pugna, già di polve un nembo
L'asconde a le plebee stolte caterve.
Chè non poss'io venirvi nunzio, o Donne,
Di propizia ventura,
Donne cortesi, che tenete al certo,
O del potente ostello ospite, o siaDell'umile capanna,
Per la povera oppressa? Ah non chiedeteChi vincesse, a la vil plebe che grida
Morte a chi muore ed a chi vince osanna:
Date omaggio di pianto,
Giugnete, o pie, le mani:
Son que' barbari tempi omai lontani.
TEDII DI CASTELLANA
TEDII DI CASTELLANA
TEDII DI CASTELLANA
Ogni progenie al mondo, ogni idïomaBlanda possiede una parola amica,
La qual dei mali ad alleviar la somaGli afflitti come può molce e nudrica,
La speranza ravviva a un tempo e doma,
Insegna a sopportar doglia e fatica:
E, cui non resti altra e miglior ricetta,
«Fratel - pispiglia ne l'orecchio - aspetta!
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