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      La castellana a dolorar con Dio;
      E venne il dì che si voltò in disgraziaPur la materna speme che nudrìo:
      Chè, ucciso forse dal soverchio pianto,
      Si morì il bimbo a la sua mamma accanto.
     
      Pur la gentile, e virtù questa parmiChe tutte l'altre sopravanzi e passi,
      Per colui tuttavia che in mezzo a l'armiLunge, più lunge e senza traccia vassi,
      Non che i voti e le preci unqua risparmi,
      Ma gli occhi e il cor non fa di pianger lassi:
      Ad ogni gioja, ad ogni pompa è morta,
      Ed omaggi ricusa e onori e scôrta.
     
      Guari non esce omai dal proprio ostello,
      Scalpitar lascia i baldi suoi ginnetti,
      E ancor che un tempo le paresse belloVisitare sovente i poveretti,
      Di porger si contenta dal castelloGenerose limosne a' loro tetti;
      E raccomanda di pregar per lui,
      Ch'è sempre in cima de' pensieri sui.
     
      Nè già solo perchè d'alta mestiziaCompresa, un ben le sembri a lui ritolto
      Ogni lampo, ogni raggio di letizia,
      Fisa il core, il pensier, gli sguardi, il voltoNel lontano suo Sol, novella Clizia:
      Ma perchè de l'onor gelosa molto,
      Non vuol che d'un fïato pur l'appanniAquila infesta col fremir dei vanni.
     
      Aquila dico, e dovrei dir Barone,
      Chè parecchi di quelli a cui più calseDe le castella assai che de l'agone
      Per il qual tanto zelo il Duca assalse,
      Con la sposa di lui facean ragioneDi metter l'uomo a più pungenti salse:
      E appostata l'avrian dovunque gisse,
      Me' che i Proci non fêr quella d'Ulisse.
     
      Nè si restò già il fulvo Colbertrate,
      Per quei medesmi ch'ospitar soleaLa pietosa Duchessa, o laico o frate,
      Pellegrini tornanti di Giudea,
      Nè, dico, si restò dolci ambasciate


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L'odissea della donna
di Tullo Massarani
Editore Forzani Roma
1907 pagine 356

   





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