Ma, per diletta che pur sia dal Sole,
Non è la giocondissima Provenza
Tutta in ogni stagiou rose e vïole,
E di nevi talora non va senza:
Senza, a que' giorni, non n'andò la moleDel castel di Fulberto, che Drüenza
Vide e Rodano e Varo e quei ch'io taccioFiumi del Mezzodì conversi in ghiaccio.
Forza fu bene a Monna Pia lasciare,
Ancor che molto se n'affligga e dolga,
Quel seròtino suo dolce sognareSino a che più l'acuto gel non tolga
Di salir su la torre e di restare,
Senza che nebbia e neve non l'avvolga:
E restringersi è forza, alla serata,
Dove rugghia a bollor la caminata.
Quivi ancor l'è compagno il buon bestione,
Che dormigliando a le cinigie il musoLungo sul focolar disteso impone:
Torce talor vecchia nudrice il fuso,
E di sagre leggende e di coroneSpesso il capo le fa greve e confuso:
E starìa ritto in un cantuccio un paggio,
Se non ch'ella a seder gli fa coraggio.
È il ragazzo, sebbene poveretto,
Di buon lignaggio e onesta nazïone:
Crebbe sott'esso a quel superbo tettoMen servo che figliuol d'elezïone:
Nè d'armi nè di lettere difetto,
Anzi ha più che bastevole ragione;
Un poco anche toccar sa di lïuto,
Ed è, chi 'l faccia dir, savio ed arguto.
Ma quel che più gli giova, ha di fanciullaUn viso, cinto di capegli d'oro,
D'onde, senza ch'ei sappia, intorno frullaDa due grand'occhi di puledro moro
Non so quale virtù, ch'arde e maciulla:
E quando quei di Monna Pia con loroS'incontrano per caso, una scintilla,
Vibra per l'aria, e in ambo i petti brilla.
Si voglion bene, e il come ancor non sanno:
Ella, come a figliuol pietosa e umana;
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