NOTTI VENEZIANE
NOTTI VENEZIANE
NOTTI VENEZIANE
Deh come arride al tuo pennello amicaLa materna Venezia, o buon Favretto,
Ne le tele gioconde che a l'apricaPiaggia rapisti, figliuol suo diletto!
Vive ancora per te l'arguzia antica,
Nè l'agil punta al Guardi e al Canaletto
Invidïasti il dì che amor ti presePur di leggiadre inciprïate imprese.
Irrorato di luce alma e soaveBen è codesto il portico festante,
Che a piè di mole poderosa e graveTanta vede guizzar turba galante:
Oh come ammodo ognun mena sua nave,
Sì che a l'altre veleggi altera innante,
E in tant'onda di rasi e pizzi e talchiL'altrui, se può, con la sua mostra calchi!
Quanto di veli e di zendadi e nastri,
Quanto fruscìo di giubbe rabescate,
Quanto brillare ed eclissarsi d'astri,
Eclissarsi com'usano le Fate,
A provocar novelli Zoröastri!
Che baciucchiar di mani ingiojellate!
Che visetti söavi, e che melensi!
Che perpetuo fumar d'arabi incensi!
Ma non vi dolga s'io lascio sfollareLa muschiata leggiadra compagnia:
Veder mi piace la luna levare,
E solette restarsene a la spiaDe' tardi vagheggini in riva al mare
Due Dame, senza stolta ritrosìa:
Chè di sedere in pubblico a Venezia
Rossor non sentirìa manco Lucrezia.
L'una il caffè centella, e l'altra in reteCol sorriso trarrìa, non che far doma,
Qual'orsa ispida più seppe Taigete:
Come la Gentildonna anco si nomaSe vi giova saper, forse l'udrete
Da tal, curvo degli anni a l'empia soma,
Che: «Possibile! - sclama - È proprio dessa,
La Cavaliera, la Procuratessa!»
E sèguita: «Eccellenza, da Sant'Agnolo
Esco ora appunto, e mi son fatto onore
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