Del suo palco, e battei lo scilinguagnoloScialandola stasera da signore:
Ma di fortuna, creda, l'appiccagnoloS'è perso pe 'l suo Gozzi servitore:
E me la piglio invan con Marc'Aurelio,
Che mi lascia basir fra Ottavio e Lelio.
«Non dico che non sia rara dolcezza,
Eccellenza, l'aver Lei protettrice:
Il portar, come ho fatto, la bellezzaDi quel suo busto a la ricamatrice;
E il poter darle infin l'alma certezzaChe fu dato al burchiello di vernice:
Ma sarei buono al par, creda, se maiSoprantendessi a l'Arte de' Librai.»
- «Pare mio dolce - qui rompe la begaDandogli del ventaglio in su le dita
La Tron, damina inver d'esimia lega: -
V'aspettavo quassù con Nene e Tita,
Chè il debol vostro so per la bottega:
Tita è già lesto in gondola, e finitaLa disputa farem col buon Caldano,
Discorrendola un poco a San Zuliano.»
E qui levansi e vanno. Io resto in asso,
Non so se veggo il vero o se mi svario:
Ma come sulla scena Itaca o Nasso
Copre talor di nuvole un sipario,
Che tutto ingombra, infin l'ultimo sasso,
Un bizzarro mi tien sonno nefario;
E solo mi ritrovo e mogio mogioCome toccan tre bòtti a l'Orologio.
Sono ancora in Piazzetta: ma la scena
È cupa, ahimè! quant'era in pria ridente:
Non più chiara la notte e non serena;
Fischia da valle e rugghia da ponente:
Io mi scrollo, ristò, guardo se appenaOrma alcuna apparisca di vivente;
E della Carta in su la soglia oscuraImbacuccata veggo una figura.
Va da sè che per gire a la scopertaM'accosto il più che posso, e via di trotto
Al portico solenne che s'innestaNe le Procuratìe, m'avaccio sotto;
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