Là m'imbozzo per ben, se mai l'incertaOmbra ghermire, o côr potessi motto
Di colui che mi par di strana sorta:
Ma un tratto spalancarsi ecco la porta.
La porta, dico, di Palazzo, e n'esceMirabilmente ritto un personaggio,
Che pur novo al mirar non mi rïesce:
Quel messere m'ho visto nel Viaggio
In Tana e Persia, sovra il qual s'accresceDi polvere un cotal denso retaggio
Che il nome omai cancellerà degli Aldi,
S'altri non fia che il terga e lo rinsaldi.
«Ugo - il sere favella - e a la sua voceLevano il voi certe colombe sparse,
Ch'òspita in fondo in fondo al capocroceLa Basilica d'oro, e par che addarse
Voglian di lui persino l'umil Croce
E quel pajo di torcie che rïarseDimandano mercè per la pietosa
Che l'ha offerte alla Madre dolorosa. -
«Ugo, la notte sai prefissa e l'ora:
Poco può star che il fratel nostro giunga,
Il qual commesso n'è che a la dimoraMeniamo, ove non più breve nè lunga,
Ma eterna il Sol nostra giornata indora,
E non v'ha freccia che a le spalle punga:
Te il divino Alighier, me spinse al volo,
Padre de' naviganti, il nostro Polo.
«Sai chi s'aspetta. S'Ilio a te fu sacra,
Unico Ellèno che a nimica terraSapesti impietosir l'invida e macra
Età cresciuta a ingenerosa guerra,
Ti giovi, ancor che non di Piave o Macra,
Ma figliuol sia del mar dov'Elba sferra,
Aver primiero con l'eroe la postaCh'Ilio cavò de la profonda costa.»
«Per Dio! - l'altro ruggì - Barbaro, e puoiTanto fare, o gentil, basso governo
Del nome nostro, o Zantïota o vuoiVeneto più, che d'ambo io mi concerno,
Da lodarti di questa a' nostri, a' tuoi
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