Di Priamo padre e d'Ettore il saluto.
Valgane Iddio sovra il mondano luto.»
E il veneto patrizio: «Alta ventura
È suggellar con quel che ci governaAmor che in ogni Bello s'infutura
De' buoni e pii la comunanza eterna,
Secondo indisse a' figli suoi Natura;
Cui più che a te convien sede superna,
Che tante hai rese al Sol sacre latèbre?»
Ugo era muto e non battea palpèbre.
Ma, come un poco il ciel parve inalbarsi,
E, vedovati del natìo stendardo,
Gli alberi fûr, là da San Marco, apparsi,
Abbrunata, solinga, incerto il guardo,
Da piè vide una mesta accoccolarsi:
Ed: «Oh tempi! - proruppe - o popol tardo!
E puoi patire che ti sia quest'essaLa viva imago della Dogaressa?
«Non così 'l giorno io la sperai, che a schieraVidi i Legati de l'ausonie genti,
Ne le pieghe de l'itala bandieraAi dì venturi invidia ed ai presenti,
L'urna portarle di Colui che alteraPur tra un popol di morti e di morenti
Meraviglia l'avea fatta del mondo:
O a buon principio fine inverecondo!»
Il Tedesco taceva. Ugo la manoGli porse, e vôlto al Veneto: «Fa desto,
Se puoi - fremette - il genio päesano:
L'ultimo omai de' Veneziani è questo.»
Sorrise il buon patrizio; e: "Non invanoRampogni - disse - il secol disonesto:
Pur la misura passi a la tua volta;
Poveri siamo, non siam morti: ascolta.»
Sorgea l'aurora, e sovra un ciel di rosaPassar bruno da lunge allegramente
Si vedea per la riva glorïosaUno stuolo d'artieri, che la mente
Sfogava, inanellando al Mar la Sposa:
«Vita Italia!» sonar forte si sente;
«Viva gli arsenalotti ed i marini!
Noi si vara diman la Morosini!
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