I, cap. XLV).
E altrove:
«Poi ch'ebbe cosģ detto, l'illustre Rāma s'inchinņ con Lacsmano e con Sitā ai piedi del Muni; ma esso sollevandoli, mentr'ei toccavano i suoi piedi, ed abbracciandoli strettamente, cosģ disse con amore: Vanne senza ostacoli pel tuo cammino, o Rāma, insieme col Saumitride e con Sitā che ti seguita come l'ombra; visita, o eroe, i romitaggi di questi asceti maturati da pie austeritą, che abitano la selva Dandaca; visita queste varie selve ricche di fiori, di frutti e d'acque, piene di belve mansuete e di stormi d'amabili augelli; gli stagni e i laghi di limpide acque, tutti pieni di fiorenti ninfee e risonanti del clamor delle anitre; i dilettevoli rivi cadenti per lo dorso de' monti, e le foreste amene echeggianti del canto de' pavoni. Vanne felice, o Rāma; parti, o Lacsmano diletto; ma dovete poi qui ritornare e rivedere i nostri romitaggi.» (Id. ibid., Lib. III, cap. XII).
Dopo Sāvitri, l'eroina del sacrificio, che, alla pari colla greca Alcesti, pone spontanea la propria vita per redimere dai regni bui quelli dell'uomo che ama, non ha la leggenda indiana figura pił soave di Sakuntalā, la figliuola dell'asceta, nella quale re Dusyanto s'avviene cacciando in una foresta prossima all'eremo, e di cui tosto č preso altrettanto forte, quant'ella di lui; salvo a dimenticarla senza un pensiero al mondo, non appena cņltone il fiore. La freschezza idillica del primo incontro non mi pare che sia vinta da alcun antico o moderno capolavoro di poesia. Kālidāsa ha in quell'unica scena profuso tocchi delicatissimi, che Virgilio stesso (di cui alcuni lo fanno contemporaneo), non disdirebbe.
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