Però da questa filatessa di nomi non mi pigliate, vi prego, in sospetto di premeditare un trattato sul Druidismo. Salterò a piè pari i boschi sacri, la grande assemblea dei Carnuti, i simulacri giganteschi di vimini, la lunga disciplina dei novizii con le migliaja di versi loro inflitti da imparare a memoria, il gran farmaco e talismano dell'oro di serpente, l'alfabeto ogham, e tutte l'altre maraviglie di quei misteriosi fratelli celti. Discorrerne neppur si potrebbe senza risalire a quei remotissimi sacerdozii orientali dei Bramini e dei Magi, con cui i Druidi hanno cotante attinenze, e dai quali pare che trasferissero sulle loro pietre augurali il segno dei due circoli legati da un cinturino e attraversati da una sbarra, sigla famosa, che gli ingenui montanari del paese di Galles chiamano buonamente gli occhiali. Io mi contenterò di dirvi questo solo, che per lo più, leggendo gli antichi, si resta indecisi se ragionino di Druidi o di Druidesse; che ad ogni modo le donne druide sono più volte nominate distintamente, come una specie di Sibille succedute a' più vetusti oracoli; e che tutte appariscono infiammate del più indomito e bellicoso amor patrio.
Quando l'isola di Mona che oggi chiamano Anglesey (terra gallese anch'essa, perchè una medesima stirpe celtica tenne di qua dallo Stretto l'Armorica, e, assai più a nord, il paese di Galles), quando Mona fu invasa da Svetonio Paolino, luogotenente di Nerone, sappiamo da Tacito che quei fieri legionarii romani furono atterriti da uno stuolo di donne irrompenti in mezzo a loro come Furie, le quali, scarmigliate, in gramaglie, agitavano fiaccole; mentre intorno ad esse i Druidi, levate le mani al cielo, mormoravano le terribili loro invocazioni.
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