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      Vi sovvenga come fosse creduto che l'audacissimo, il quale, a rischio della vita, arrivasse mai a profanare l'isola fatata e a vincere il cuore d'alcuna di quelle solitarie vittime, otterrebbe da lei, meglio che dalle venali custodi d'altri altari, il segreto dell'avvenire. Or come dentro al sacro circolo dei dolmen, in mezzo alla ridda di coteste Sibille intente alle incantagioni loro e a' loro filtri, penetrasse, e con che fortuna, un giovane guerriero gallese, non ve lo ridirò in prosa, dopo avere osato di farmigli compagno (in versi) all'attentato sacrilego: mi piace piuttosto soggiungere una parola di quel lento trasfondersi della leggenda celtica nella cristiana, che non è dei meno curiosi fenonemi dell'istoria.
      Erano, tollerate ch'io lo ripeta, ordini inferiori del sacerdozio druidico i Vati (od Ovates o Eubages o Eubages, che in tanti modi lo si scrive), ed i Bardi (da Bardd, che vorrebbe dire ramo fronzuto). Quelli più propriamente addicevansi al culto esterno ed all'arte augurale; questi a un ufficio non dissimile dalla professione dei rapsodi greci, all'andar celebrando le gesta degli eroi, e distribuendo biasimo e lode colla libertà che solo si poteva attingere ad un carattere più o meno sacro. I Vati colle reliquie del culto antico si dispersero presto; anche dei Bardi l'autorità andò certamente sminuita dalle invasioni, che mescolarono alla razza gallese altri sangui, e dalla gelosia di mestiere dei nuovi preti; ma che non sia del tutto dileguata mai, basterebbe la memoria che ne serbano viva in Cambria, dove certi iniziati, i quali la pretendono a loro remoti discepoli, celebrano ancora ogni anno un sembiante di gara dei cantori (gorseddau awenyddion), in un convegno che ha origine e nome antichissimo anch'esso, l'eisteddfod; ma più assai lo attesta l'altissimo grido ottenuto in tutto l'Occidente cristiano dalle profezie di quel gallese Myrd'hinn, che Alessandro Vescovo di Lincoln volle voltate in latino circa un secolo dopo il Mille.


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L'odissea della donna
di Tullo Massarani
Editore Forzani Roma
1907 pagine 356

   





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