Chi non si fermerebbe a Cotrone almeno ventiquattr'ore?
«Dell'antica grandezza, nulla: dell'antica salubrità, ancora meno; della bellezza che diede a Zeusi le cinque più belle vergini della Magna Grecia per dipingere Elena seduttrice, il viaggiatore non ne sa punto: delle sacre boscaglie di pini popolate dai Genii e dalle Driadi salvatichette e gentili, non v'è più neppure la rimembranza nella tradizione malfida; ma le colossali ricchezze di molte famiglie ivi nate e cresciute, famose, nel libro d'oro della prosperità nazionale, e che sarebbero principesche a Londra e a Pietroburgo, dimostrano che la tavola pitagorica vi è tuttora in onore. Le grosse mandre delle più belle d'Italia vi venarono a svernare dalla Sila immensa, e vi hanno interminabili magazzini pei classici formaggi di Cotrone, sul porto arenoso, che ne fa un commercio lautissimo colla bassa Italia e coll'Oriente.
«Non ho veduto gli atleti e vi trovai la febbre: ma valeva la pena di prenderla in quel tramonto d'oro, che si rifletteva nelle acque tremolanti d'un mare tranquillo e pieno di misteri.»
Così col suo vigoroso talento d'artista e con la vivace sua facondia di donna, una viaggiatrice che vale per dieci archeologi (Caterina Pigorini-Beri, In Calabria, Casanova, Torino, 1892). Che vi saprebbero mai ricostruire questi barbassori dottissimi, delle magnificenze di una regione italica ora troppo negletta, e in tempi quasi preistorici onorata dai coloni d'Acaja più della stessa madre patria, col nome glorioso di Grecia grande?
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