Sono in piedi, è vero, i magnifici tempii di Posidonia, improntati dell'austera bellezza che il genio dorico ha saputo infondere nelle loro linee, anche serbando una maschia parsimonia di fregi: ma di quelle più squisite eleganze in cui si vennero assottigliando ed infemminendo le propaggini achee là nella Lucania, nella Messapia e nel Bruzio, chi ci ragiona, chi ci parla agli occhi, all'infuori di qualche vaso fittile relegato nei Musei o a rarissimi intervalli tratto novellamente alla luce?
Gli scavi più recenti - lo dicono schietto le stesse Relazioni ufficiali - non furono fortunati a Taranto e a Sibari quanto a Falera e sulla costa occidentale della Sicilia. Quelle fibule e fibulette a drago, a scudetto, a voluta, quelle rozze oinocoe, quelle fusaruole, quei grani di vetro, quelle cuspidi di lancia possono fare le delizie dei Pigorini e dei Fiorelli, che sanno leggervi le analogie e le differenze fra Italici del Mezzogiorno e Italici di quella valle del Po da cui tutti discesero: ma pressochè nulla dicono, neppure a loro, della civiltà greca rigermogliata lì accanto. O come più di quei dotti cocci e ferravecchi a Voi tornerebbe preziosa, gentili Donne, ed a me una di quelle tuniche crocee, o una di quell'altre sì fine da esserne diafane, che le belle patrizie di Roma faceansi ancora mandare dalla lontana Taranto, quando già questa regina dell'Jonio era diventata città vassalla! E che non dareste per aver sott'occhio alcun ricordo autentico delle beltà natìe di quelle contrade, in qualche frusto di tavola o in qualche falda di muro che serbasse traccie della spatula da encausto di un greco maestro!
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