(Cfr. Perrot e Chipiez, Histoire de l'Art dans l'antiquité, Paris, Hachette, 1882-1890). Ma che sappiamo mai, de visu, della pittura greca? Dobbiamo accontentarci di averne raccolto da pochi anni i più remoti incunabuli, anteriori forse ad Omero, nell'isola di Santorino, l'antica Thera, dove un cataclisma ce li serbò seppelliti sotto un alto strato di pomici; ma del grande periodo pericleo ogni traccia è scomparsa. Micene e Tirinto ci attestano co' loro ori mirabilmente lavorati una perizia nel comporre, che suppone già inoltrata assai anche l'arte del dipingere; ma poi l'invasione dorica fa sovrincombere alla cultura achea una sorta di medio evo; sospinge nell'isole, a Cipro, a Rodi, a Scio, a Taso, l'arte fuggitiva; e poco più che nulla sappiamo della pittura greca fino al sesto secolo avanti Cristo. Sullo scorcio del quale, una luce quasi subitanea irradia da Corinto e da Atene; e la ceramica, e le stele dipinte, e l'invasione della policromia negli edifizii, sono come squilli sonori che ci annunziano la pittura risorta. (Cfr. Gérard, La peinture antique, Paris, Quantin, 1892).
Per verità, un cent'anni innanzi, e certo prima che Polignoto ritraesse nel Pecile sotto la veste dell'epopea omerica la recente vittoria di Maratona, doveva la Magna Grecia avere veduto l'aurora di quel meriggio; chè la pittura presso i Greci (lo si ha dagli scrittori che ne videro, come Pausania e Plinio il Vecchio, i capi d'opera ancora intatti), la pittura seguì sempre la plastica da vicino, più gelosa assai del disegno che non lo fosse del colore; e quando la forma umana apparisce, come presso le genti italiote, non pur correttamente ma squisitamente segnata sulle metope dei tempii e sui vasi fittili, si può avere per fermo che dovesse esserlo con non minore perizia nella pittura murale.
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