«Così mi pare - rispondeva Parrasio.
«Adunque - ridicea l'altro - negli occhi è un non so che possibile ad esprimersi?
«Di certo - riprese Parrasio.
«Indi il filosofo: Ma negli accidenti prosperi o sinistri degli uomini, ti par egli ch'abbia il medesimo sembiante chi è impensierito e chi no?
«No - soggiunse l'altro - perocchè allegri nelle cose felici e mesti nelle avverse divengono.
«E Socrate incalzando il discorso: Anche queste dunque son di quelle cose che si possono rappresentare imitando, molto più che nel volto e nel portamento degli uomini o fermi o moventi, traspare il genio e l'indole magnifica, e la vile, la nobile, la gretta, la continente, l'avveduta, la sfacciata, la furibonda, le quali tutte possono esprimersi a forza d'imitazione.»
Non sembra per verità che Parrasio a un cotanto loico replicasse gran che di conclusivo; ma, se non con le parole, che non è il forte dei pittori, Zeusi rispose, a quel che sembra, con le opere. Ed io, con quella facile erudizione che si pesca nei libri, avrei potuto assai agevolmente accattare dai musaici di Villa Adriana, dai monocromi d'Ercolano e dalle tempere di Pompei, per fregiarne la pinacoteca del mio Zeusi, qualcuna delle composizioncelle di quei decoratori, i quali si pretende (senza argomenti gran che sicuri per dimostrarlo), che alla bell'e meglio venissero calcando l'orme degli antichi maestri, e lucidando in digrosso le loro composizioni. Ho preferito, e me lo perdonerete, un mio ghiribizzo. Disperato di somigliare ai grandi in altro che negli errori, ho voluto farla alla Paolo, se non per quel giuoco d'ombre e di luce in cui il Veronese valse cento Zeusi, almeno per quei geniali spropositi che gli facevano mettere Turchi, cavalieri di Malta e suonatori di viole d'amore nelle Nozze di Cana.
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