Perchè? Per questo solo che osò supplicarti in nome mio.» E il più fiero, ma più verace dei satirici (porrò fine, per pietà di Voi gentili, con questa citazione), «Porta il pregio - dice - di sapere che cosa vadano in tutto il giorno facendo e agitando, codeste dame. Dormì stanotte come un tronco il marito? Sventura a te, maggiordoma, e voi, cameriere, nudate i dorsi. Che tardi, o flagellatore? Su, paghino il fio dell'altrui sonno. E le verghe volano in frantumi, e s'arrossano staffili e fruste. Ella intanto percuote, e s'imbelletta in pari tempo il viso; discorre con le amiche, si consulta intorno al largo passamano d'oro della veste ricamata, e percuote; legge, lunga distesa, il giornale, e percuote; fino a che, stanchi i flagellatori, grida un terribile: Uscite! chè la sua lettura della cronaca cittadina è finita. Davvero è questa una casa non più mite di una Luogotenenza di Sicilia. Un'altra e più complicata pettinatura ci vuole per andarne ai Giardini, o che val meglio, ai Misteri d'Iside compiacente. Orsù, Pseca infelice, tu che avesti testè strappati i capelli, acconcia i suoi; e bada di non t'accostare se non ignuda gli omeri e le mammelle.» (Giovenale, VI, 484, VII, 475).
Anche queste - direte voi, Donne pietose - sono vecchie storie; e neppure in Roma pagana si poteva poi essere antropofagi, da buttare una schiava in pasto a pesci, che un dì o l'altro, infine, s'avevano a dare in tavola. Tant'è. Del gitto a' pesci, a quelle murene, a quelle spaventose lamprede, dalla bocca a succiatojo come i tentacoli delle piovre, neppur io vorrei crederlo, in una Roma di Virgilio, di Mecenate, d'Augusto: ma pur troppo è storia quella che si racconta di Vadio Pollione, amico d'Augusto appunto, il qual Pollione in casa propria ne aveva fatta una consuetudine.
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