Ventisette scuole gratuite erano aperte nella capitale: la sua Università era tra le più rinomate. Ma dai libri, curioso a dirsi, uscì un conquistatore che doveva riempire il mondo del proprio nome: Almanzor. Mi piace di provarvi che non v'ho raccontato in versi una fiaba.
Abî-Amir Mohammed era un giovane studente di buona famiglia. Caldissimo d'indole e d'una energia senza pari, ai camerati suoi, che ne ridevano, aveva predetto ch'ei sarebbe un giorno signore della Spagna. Come principiasse scrivano, come di Cancelliere di tribunale, a un tratto, a ventisei anni, diventasse Intendente dei beni del principino ereditario, lo avete potuto indovinare: non ignorate che in questa rapida fortuna ci ebbe uno zampino la Favorita, Aurora, una Basca, che era sull'animo del sovrano potentissima, e che non tardò a subire altrettanto potente il giogo soave di Abî-Amir. Inutile ridirvi la missione di costui nel Marocco, e come l'arguto finanziere s'accostumasse presto alla vita del campo, e sentisse dentro a sè fremere l'anima d'un guerriero. Povero Califfo Hacam! Aurora, dandogli, vecchio che già era, due figli, lo aveva reso il più felice degli uomini, se non che, mortogli il maggiore, tutte le sue trepidazioni di padre e di Principe si raccolsero sull'altro, e volle, già cadente, che al piccolo Hichâm fosse giurata da tutti fedeltà. Per allora, di avere a sovrano un fanciullo s'accomodarono di buon grado gli ambiziosi suoi consiglieri. E non appena il buon Califfo scomparve, fu loro pôrta occasione di mettere a frutto il proprio zelo.
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