Cristiani vecchi avevano in più città menato strage di Cristiani nuovi, se anche molta e fiera gioventù si noverasse fra questi, che sui campi di battaglia di Rubinat, di Beses, di Toga, si aveva conquistato gli sproni d'oro. Non valse che don Mosen Pedro, uno della insigne famiglia de la Caballeria, menasse a buon fine il gran negoziato che riunì i regni d'Aragona e di Castiglia; non valse che Ximeno Gordo, un suo parente, Podestà, o come li dicono, Eletto, e per non poco tempo dittator popolare in Saragozza, capitaneggiando dugento cavalieri, liberasse la città da una scorribanda francese, che aveva messo in serie distrette il Re don Giovanni: il turbine s'addensava, e scoppiò.
«Se quaggiù non si puniscano colle fiamme - tempestava il d'Espina - gli occulti cadranno poi nelle fiamme eterne;» e neppure tollerò che si ammettessero fra gl'Inquisitori i Vescovi diocesani, nè i Padri Gerolamiti; al tribunale implacabile non volle che partecipassero se non gl'implacabili Domenicani. Stimolo alla delazione il terzo delle confische, che accompagnavano ogni condanna; strumento, la tortura più spietata, «come su corpo morto», como su cadaver; baluardo contro tutto il mondo, il segreto; neppure al sicuro i defunti, che, fatto loro il processo, si dissotterravano per bruciarne le ossa. E quali le accuse? Una sola: giudaizzare, come dicevano, o aver giudaizzato; e a segni della colpa bastavano certe abitudini di cibi, la ritrosia a certi altri, l'accento, il gesto. Frate Luis de Leon, (era un Vives), che gli Spagnuoli tengono per una delle loro glorie letterarie, penò così quattr'anni in carcere, e ne uscì per miracolo, dissotterratogli intanto l'avo, e bruciatene al solito le ossa.
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