Le Trojanische Alterthümer (Lipsia, Brockaus, 1874), ribattezzate lo stesso anno a Londra dal Murray Troy and its remains, erano state come il pronao di quella sorta di museo omerico, per gran parte inviscerato ancora nel suolo ove fu scoperto, dove le rovine di sette città accatastate l'una sull'altra attestano sette successive colonie. Ivi lo Schliemann, scendendo a mano a mano sino a quella che, distrutta dal fuoco, pur serbò miracolosamente intatto, o quasi, il proprio tesoro aureo, potè salutare con un grido di nobile ebbrezza
Ilio raso due volte e due risorto.
Dieci anni, tanti quanti l'assedio, era durato l'improbo lavoro della scoperta; e il Virchow, che visitò quel sacro terreno, non può restarsi dal venire in questa sentenza: «L'aeda divino, quale che stato egli sia, certo salì sulla collina d'Hissarlik: di là guardò il mare e la terra: non avrebbe altrimenti potuto essere così fedele alla natura . . . Intorno al luogo dove fu Ilio, non c'è possibilità di scelta. Deve essere un luogo che risponda a tutti i dati del Poema. Forza ci è dunque di concludere: Qui, sulla collina d'Hissarlik, qui sul luogo delle rovine della città bruciata e ricca d'oro - Ilio fu qui.»
Con questo documento alla mano, Signore mie, nulla vi contende di accettare per autentico, siccome un giojello della belissima Elena, quel diadema d'oro a più giri di foglioline ed a pendagli, che un critico fastidioso si limiterebbe forse ad attribuire a qualche cospicua dama d'una di quelle sette città. Io per me vi concedo amplissimo indulto di credere.
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