Che insin per mano furïal di donnaImplacata al nemico
Paga il sangue col sangue!
L'alta che là dal Tronto al Garigliano
Febbre di te s'indonna,
Condannar non saprebbe un cor romano.
Te benedetto nel tuo carcer tetroSettembrini mio fiero,
Ch'armi tiranne, immote a la minacciaD'anglo liberatore, hai benedette!
Degno di miglior pletroChi di te più, dopo Catone austero?
Non sì quei fasci io loderò che dettePlatoneggiante Portico gentile,
Già cent'anni, a Partenope. Gl'inermiSpaldi a repubblicana
Non sua schiera commessi, o qual d'AprileVirtù da morti germi,
Quale sperar per dotta arte potea?
Da selva che un'insanaAnnosa oblivïon crebbe selvaggia
Spighe germina e fior' forse un'idea?
Mario, eccellenti, il so, parlasti al volgoLiberi sensi; e tu d'allôr, Cirillo,
Ghirlandasti la spiaggia:
Ma senz'eco rimase il divo squillo.
E intanto che sottili ordini e moltaDi söavi pensier' copia trecciando,
Decretavate avelliA Virgilio e Torquato,
Pane chiedeva, e non amor, la folta:
Mugnea molt'oro, e, dato a' lezii il bando,
Toglieavi l'arme e facea gli occhi felliIl proconsolo franco:
E di feroce già fiamma nel vivoDel Rëame fremeva orrido rugghio:
Già, tutta piaghe il fianco,
Questa e quella in contrario impeto un rivoCittadi e genti del medesmo sangue
Versavano; e non d'uom, di belve mugghioSi mesceva al fragor de le ruine:
E tu Ruffo, e tu d'angueSemenza e cor di tigre,
Mammon selvaggio, rinfrescavi Atreo:
E cacciava le spineDel suo popolo in cor Prence più reo.
Ma forse allor che un poco soprattenneVirtù di nostre mani
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