Quella ch'è moto, suon, luce e calore,
Che ne la nube e nel pensiero brillaElettrica scintilla,
E con la possa de le sue correntiTraversa il nembo e il core,
Urta, scote, dissolveUn mondo e un gran di polve,
Quella te pur, marina onda, a le ardentiFurie commette e al turbinar dei venti.
A te il perpetuo pellegrin del mondo,
Spirto de le turchine acque, che a voloCorre calido al Polo,
Tepori versa onde concepe e figliaIl tuo seno fecondo,
E s'agita e dibatte,
Nudrita del tuo latte,
Dal maggior mostro a l'umile conchigliaDi vivi innumerabile famiglia.
Sorgon da l'imo tuo, madre, le vite:
E quel tenue coral che incerta sporaVede l'indica aurora
Mentre a l'opposto ciel brillan le stelle,
Nel tuo seno, Afrodite,
Con industria furtivaCresce la roccia viva,
De le sue preparando irte lamelleA imperii da venir spiaggie novelle.
No, per crudel che ti dipinga e infestaPöeteggiato a veglia alto naufragio
O pavido presagioCh'assai del vero il ver pinge più brutto,
Te non dirò funestaD'Argo al libero figlio,
Glauca Dea, che il periglioNon gli celasti e l'imminente lutto,
Quando il suo genio lo chiamò sul flutto.
Provvido genio, che per vie selvaggieDi felici faville il mondo sparse,
Onde tanta rïarseFiamma di peregrine arti gentili:
E a più gioconde piaggieLe sacre primavere
Di nova età forierePortâr nel cavo de' fatati ancìli
Tanto seme di popoli civili.
Fu tua mercè, marina onda, se il Basco
E de la preda nel perpetuo affannoIl nocchiero normanno
Con quelli ond'ebbe Scandinavia il grido,
Via per il salso pascoTrascorsero su l'orme
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Polo Afrodite Argo Dea Basco Scandinavia
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