Che val, s'invido coroD'angle e di franche antenne
Tarpa le nostre penne?
Se ancora di Cartago in piedi sonoL'emule scôlte, e il nostro genio è prono?
Indarno a me, Ligure duro, ostendiD'aranci e d'uliveti alme pendici,
Onde un giorno vittriciLe frombe tue ne l'inimico oprasti,
E ancor forte contendiDe le braccia la guerra
Con la gagliarda terra:
Questa che ad ogni ben par che sovrasti,
Pane non ha che a satollarti basti.
E te almen la materna onda soccorre,
Per la quale con memore ardimentoVeleggi, ed a talento
Sino ai lidi che il tuo genio scoverseVai le gomene a porre:
Più l'empietà m'affannaDi colui che non sganna
Fato crudele, e su per l'acque perseLe crëature sue manda disperse.
Te dolorando il mio pensier precedeGiovanetta gentil, che smunta e scalza,
Scesa l'arida balza,
A dir t'appressi al Bel Päese addio:
E dov'altri non vede,
Nè veglia occhio di madre,
Sola, a brigate ladreCommessa, come fiore a scalpiccìo,
Furtivo sonno vai carpendo in Dio.
Tolga, deh tolga, se alcun v'ha custodeDe la innocente püerizia al dritto,
Che perduta in quel fittoD'irti capecchi e rozze travi e funi,
Solo origlier che gode,
Anzi gelosa gustaLa testolina adusta,
Saggi fra poco più funesti pruni,
E a te d'intorno oscena ciurma aduni.
Tolga, deh tolga che a la nave infamePeggiore ospizio non sottentri, e a bada
Per ignota contradaSozza congrèga, ai lamentosi accordi
De la pallida fameE de l'arco che strepe
Di sè facendo siepe,
Il Päese gentil non ti ricordiDove l'arancio è in fior, gli animi sordi.
Ah pria che ascender l'esecrata nave
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Cartago Ligure Bel Päese Dio Päese
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