Nè strinsero men crude le ritorte:
Ch'anzi, per sino a morteNulla speranza gli alleggiava mai
Del tuo raggio divino, o Libertade:
Severo il pastoral più delle spade.
Barbare genti, altri dirà, più tristiBarbari dì. Chè non ammiri ai novi
Liberi Soli del Comune, anch'essoGioir d'umani glorïosi acquisti
E d'Arte suscitar fiori tra i roviL'italo Chiostro, e rinnovar sè stesso?
Il Fraticel dimessoObblii che tanto lume e tanta pace
Versò nel mondo da la bianca Assisi?
E la Pia che divisiI cittadini suoi da guerra edace
Con seco ricongiunse e col Pastore
Per lei tornato a le natìe dimore?
E veggo e so: nè a costor nego il serto;
So il piombo e l'oro delle umane vite;
Che in sè rinchiuso e il Bene e il Mal si esaltiE tocchino il fastigio e colpa e merto,
Piace a Natura: però seco in liteNon entri chi non è pari agli assalti.
Se di tua pace càlti,
Donna, al sangue non dar troppo corruccioCome la suora fa, che il sen flagella:
E rammenta ch'uscì d'ugual cappuccioColei che a Lippi un dì stette a modella,
E narrator di sue gioconde impreseS'ebbe un frate rival del Certaldese.
Che pro, se cinta di fulminee squadreD'Angioli e Santi, a queste mal devote
Suoli avventar la tua magnanim'ira,
Teresa invitta? D'assai mal fu madreNon la tua pïetà, ma la gran cote
Che a furïar ne tolse età delira:
Di tua vita che spiraQual frutto, o Diva, e dell'Amor celeste?
Temi, temi lo strale che t'accendeQuando d'Iddio ti prende,
E il vivo sangue del suo foco investe:
Non siam quaggiuso angelica farfalla,
Ma nati a confessar: chi vive falla.
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