La figliuola imponea. Gir pellegrineFuron viste daccapo, e smetter l'adre
Gramaglie, e adorne, e scintillanti il crine,
Per amor tuo, Patria gentil, le portePercotere che scôrte
Là sulla Senna avieno,
Non pur di molte spade,
Ma d'ansie, di sospetti e di ritorte.
Quivi immobile posaLa coronata Sfinge
Che già il fatato Reno
Volge ne l'alma senza fin pensosa:
Tu ben l'affronti, o Lidia,
E, s'anco il viso in pio rossor si tinge,
Non peritosa il gran responso invochi:
«Deh! Scade il giorno, scade,
Che omai vita per vitaGiochi Varsavia, e scossa l'alta accidia,
Vomeri e falci per l'incude affochi!...»
Ma il sinistro sorrisoDe la fera divina
Che a te, spianato il balenante ciglio,
Flessüosa si china,
T'ange più del cipiglio:
«A che, mia bella, in questa orrida intrideDanza promessa a morituri prodi
L'amoroso tuo genio? A te non forseNon forse il diciottesmo anno sorride?
Ferve costì più facil danza: godi.»
Ahi duro scherno! Ma che mai fa crebreQuanto un niego le voglie in cor muliebre?
Non può Lidia dal cor le sue ritôrse:
E, candid'ostia eletta,
Tende l'orecchio al fosco Norte, e aspetta.
Giorno salì che per Sarmazia un gridoD'ira levossi e di terror. Siccome
Alla ugonotta gente un dì le porteTinse, araldo di morte,
Implacato chercuto odio feroce,
Bandìa così la croceSul cattolico nome
Furia laggiù, non men dira e selvaggia;
Nè per tòrto sermon ch'eletto s'aggiaSì che peggior ne squadri
L'ingiuria al Cielo, men facea le madriSveller feroci per dolor le chiome.
Casa non era, onde il figliuol suo primoIn dura servitude
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