Pił ritornar non sa.
Godi: le grazie ingenueDel leggiadretto volto,
Il Sol che dentro specchiasiNel biondo crin disciolto
Mai gemma uguaglierą.
L'Aurora al primo sorgereDir ti vorria: «Sei bella!»
Al tenero vermiglioTi chiamerģa sorella
Se avesse a favellar.
Spesso dal cespo roridaSpiccar mammola o rosa
Ti piace, e accanto al pettineOr fulgida or nascosa
Riporla ad olezzar.
E chi a quegli atti suppliciGuardi, e a quel tuo candore,
Dirģa che della mammolaPił rassomigli al fiore
Nei vergini pensier'.
Ma non s'indugi: o il trepidoSen come a rosa acceso
Vedrą da l'alma Venere
E ogni adito gią presoDal suo figliuolo arcier.
Ritrosa ancora e timida,
Sei semplicetta ancora;
Ma non starei del credereChe la novella aurora
Ti troverą cosģ.
Chi mi sa dir le imaginChe a tenue fil conserte
Su quel rocchetto annąspansi,
E dipanar pił certeVorrai quest'altro dģ?
Gią que' grand'occhi cercanoPił lą pił lą dal queto
Che de' tuoi fiori ingemmasiDomestico pometo,
Delizia tua gentili:
Pił lą pił lą dagli alberiChe su casali e stalle
Fanno agli eccelsi verticiDe la natģa convalle
Magnifico monģl:
Cercan pił lą dal nitido,
Sģ bello quando č bello,
Blando tuo ciel serotino;
Cercan fra gli astri quelloChe si dimanda Amor.
Amor, di tutte l'improbeLarve la pił mendace,
La pił dai fieri turbiniDel Tempo, iddio rapace,
Segnata di terror.
Deh a l'impari battaglieNon provocare il Nume,
Deh non fidare o teneroVirgulto a ignoto fiume
Il fragile tuo stel.
Vedi: cotesto poveroDe' tuoi vecchi ricetto,
Che la santa canizieHa lor nel bianco letto
Composta de l'avel,
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Sol Aurora Venere Amor Nume
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