Quei che presiede più d'Imene a nozze,
Se dir nozze e non vendite si denno.
Che? Vendite non son vigliacche e sozze,
Se mercano per sudicio danaroNobili al verde a sgangherate rozze?
Non sono, se barattan paro a paroPer case, per livree, cucine e cocchi,
La damigella a lo strozzino e al baro?
Io non vo' groppi in gola e cispe agli occhi,
E vi so dir che per l'umana razzaMi tremano le vene ed i ginocchi
Quando veggo su cento esser di bazzaSe v'è uno sposalizio a la salute
Meno infesto che ruggine a corazza.
Tal floscio de lo spirto e de la cute,
Che di sè il meglio a piene man disperse,
S'ammoglia a donna da le voglie acute;
Tal, cacciator di doti assai diverseDal senno, dal vigor, da la bellezza,
Va dove più moneta gli s'offerse;
La vecchia il giovincello, e non disprezzaMembra per vetustà logore e sfatte
La fanciulla ch'è in voce di saggezza.
O sponsalizie inver perfide e matte!
E ch'è da le perdute a queste spose,
L'une tossico al sangue e l'altre al latte,
Se non che quelle in conto son di cose,
Queste la mäestà de l'adulterioPasseggian tra le genti virtüose?
Vengan figli, e a la gruccia e al cäuterioPrepàrin l'anche inutili e le braccia,
O spandano col male il vituperio.
Nè mi dite, messeri, che vernacciaDiscernere io non so da tristo aceto,
E mesco insieme grappolo e vinaccia:
Sòllo, ci son di caste mogli, e un chetoFocolare e gentil, se non felice,
So cercar sul battuto e sul tappeto:
Ma raro è assai se ringraziar ne licePrevidenza di padre o amor veggente,
E se per ôr non fulge la vernice.
Motteggia il maritino, e la prudente
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Imene
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