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Ma pių cocente e pių sanguigna improntaFiede a Donna regale il petto altero,
A cui doglia non č che non sia conta.
Figgea gli occhi nel ciel lucido e meroSchelda lasciando per il nobil Istro,
Sposa a l'erede di cotanto Impero:
Se non amor, pace sperava. E il sistroDei dė giocondi ahi prossimo dovea
Di nenie funerali esser ministro.
E di che nenie! Non per alta ideaD'onor, di sapïenza e di virtude,
Il Prence nobilissimo cadea:
Ma fra quattro pareti ascose e nude,
In adultero letto, e di reo piombo,
Per mani infami, o in sč medesmo crude.
Ahi tristi esequie! E nell'arcano romboTraea de l'omicida arme con seco
Rara bellezza, ignuda il petto e il lombo.
Fu mai destin del tuo, Donna, pių bieco,
Che, vedova del talamo e del serto,
Pietosa fai di tue doglianze l'Eco?
E qual santa bugia, quale disertoMendacio, a l'incalzar de la tua cara
Bimba che trema a labbricciuolo aperto?
Fiume cosė, se man soverchio avaraNon n'impediva il generoso corso,
Liete di messe avrėa superba e rara
Fatte le sponde: ma se a gir retrorsoD'ammontati macigni ingiuria il torca,
Volge ne' fianchi il formidabil morso,
Sč ne le disastrate opime corcaTerre feconde, e proprio fa l'altrui;
Nč tampoco gli cale ove s'inforca.
Cosė l'istinto ingčnito per cuiQuesta umana progenie si divalla:
Non lo sforzate ne gli andari sui!
Che se invece di fargli amica spallaIntoppi gli porrete, e scaglie e rene,
Non pensatevi poi turar la falla.
Ma tempo egli č che a pių modeste aveneIo torni, e a te, Gentil, me ne commetta.
Medita, e quando hai meditato bene,
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Donna Istro Impero Prence Donna Eco Gentil
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