Ma quei che innominato a l'atre portePicchia de l'Ade, tutta sa la morte.
Morte la tua non fu, divino atletaDel laconio pensier, che in sangue tinta
La libertą del mondo alta scrivestiDi stelle assai, pił che di spade, cinta,
Lą dove sfalda, non impervio, l'Eta:
Morte non fu, se, tua mercede, restiAl fare pił che al dir nei petti onesti
Viva la fiamma, e del valore anticoPronto e securo, cui lo saggi, il seme:
Onde, temuto insieme,
E insieme č il prode alla modestia amico.
Nč indarno corse dal pudico lettoL'onesto sangue tuo, specchiata moglie,
Per che gią in Roma con l'antico vantoDel buon vivere libero fu santo
Il lare antico e il tetto che l'accoglie;
Nč a men romano esempio e meno eletto,
Porzia, sacrasti il mulļebre petto,
Quando render sapesti al tuo SignoreInvitto ancor, benchč piagato, il core.
No, non indarno: se per lunga listaRicordabili eroi ne l'etą bieche,
Che Italia ancor fremea di servi serva,
Fecero come Pier ne l'ombre ciecheA Dante occorso de la selva trista:30*
Ma non volsero in sč la man protervaGią per viltade: anzi a la rea caterva
Che ogni bocca, ogni mano in ceppi strettaVolea strumento altrui di peggior sorte,
Con virtüosa morteMandaron la tigrina ugna disdetta.
Di voi parlo, magnanimi figliuoli,
Buona progenie ligure e lombarda,
Di te, Ruffini, onde l'antica torreLą ve' Bisagno al mar libero corre
I passi al cittadin pietosi attarda;
Di te, Pezzotti mio, che insieme soliVide sovente il nostro genio, e a' voli
De l'alma intemerata il carcer mutoSforzasti a dare de' suoi ferri ajuto.
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