II, pag. 229 a 259). Radegonda, figliuola dell'ultimo Re de' Turingii, in una di quelle scellerate razzie che i Franchi solevano, a soli otto anni d'età era caduta con un fratellino prigioniera del Re di Neustria, il fiero Clotario; e fin d'allora n'aveva dêsta la barbara concupiscenza. Allevata e istruita più gentilmente che non si solesse fanciulle di razza germanica, Radegonda era serbata al talamo del Re; ma non vi salì se non costretta, e, in qualunque modo potesse, pervicacemente involavasi all'abborrito gineceo, per darsi ad opere buone. Quando poi il fratel suo, non si sa per che sospetti, fu messo a morte, invincibile diventò in lei la ripugnanza dal proprio tiranno; fuggì dalla reggia, se ne fu a Noyon presso Medardo Vescovo, che era in voce di santo; e, vinte le perplessità del buon uomo e le intimazioni villane de' guerrieri franchi colla valentia del proprio volere, ottenne d'essere consacrata diaconessa. Inseguita, minacciata, aspreggiava le tenere membra col cilicio, invocava il Signore; la belva maritale infine quetò, e alla poverina fu dato ricoverarsi prima a Tours, poscia presso Poitiers, dove col suo peculio di sposa (il Morgengab), fece riattare a convento un'antica villa romana. Lì, a poco a poco, venne poi mitigando l'austerità monastica con qualche diporto; i bagni, i dadi, le letture, persino qualche ombra di teatro; e alternava le cortesie agli ospiti con dure fatiche servili, cui voleva compartecipare insieme con le sorelle.
Fra gli ospiti, è impossibile di non ricordar un Italiano, e secondo i tempi, un poeta: messere Venanzio Fortunato, da Valdobbiadene presso Treviso, che fu il consolatore della buona Regina.
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