Nè più nè meno che un domatore di fiere, il quale le sguinzagli attraverso l'abitato per goder della strage, l'uomo sinistro che presiedette allo sterminio della Polonia accumulò necessariamente sul proprio capo l'esecrazione dovuta a tutti i delitti che si compirono sotto il suo imperio. Nessun atto d'accusa più tremendo che la serie delle sue stesse ordinanze, e di quelle da lui provocate. Già il 4 marzo un Ukase imperiale aveva ordinato il sequestro di tutti i beni appartenenti ad insorti; il 4 maggio tutte le spese di mantenimento, di marcia, d'armamento di un esercito di centomila uomini, per tutta la durata della guerra, sono messe a carico del Regno: il 9 giugno un decreto granducale conferisce ai Comandanti di compagnia diritto di vita e di morte sugli insorti; il 28 giugno la più draconiana angheria che mai escogitasse mente di pirata, impone che nel termine di sette giorni una tassa del 10 per cento su tutti i beni della nobiltà, senza eccezione, sia in qualunque modo effettivamente percetta; non volendo il signore pagarla o non potendo (e quale proprietario di terre poteva avere alla mano, in danaro, un decimo della propria sostanza?), vendansi immediatamente e indistintamente le suppellettili delle case e delle fattorie, il bestiame, gli attrezzi rurali, i cavalli, le biade, ogni cosa. Era la dispersione bestiale, non della proprietà soltanto, ma della stessa agricoltura. Che preme? Il raskolnik, ancora mezzo selvaggio, è strumento buono per distruggere. Il Luogotenente convoca di mezzo luglio i contadini, e dice loro: «Ricordatevi che a primavera voi solevate venir a chiedere ai signori che vi fornissero da vivere.
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