Never here, forever there,
Where all parting, pain, and careAnd death and time shall disappear,
Forever there, but never here!
(The poetical Works lyrical and dramatic of Henry Wadsvorth Longfellow, London, Brokers and Bust, 1856).
E nella felice traduzione del Messedaglia:
Mai qui, sempre colà dove ogni cosaChe quaggiù ne sepàra, e cure, e guai,
E morte e tempo, si risolve e posa.
(Alcune poesie di E. W. Longfellow e d'altri, traduzione di Angelo Messedaglia, Torino, Loescher, 1878).
Senz'animo di secondare questa fantasia più che un poco trappistica del Bardo americano, non posso far di meno di confessarvi che, se avessi da compendiare in due parole quella che mi par essere la fisonomia di questa fine di secolo, non lo saprei fare con nessuna formula affermativa. Mi sembra che l'interrogativo, come a un perpetuo problema che questa nostra età pone a sè medesima, le convenga meglio: anzi, non uno, ma due interrogativi vi s'alternino senza posa, presso a poco come i rintocchi del pendolo sopralodato; e sono quei due che ho scritti in cima alle due ultime mie fantasticaggini: Gioire...? Morire...? non senza una buona scorta di puntini dubitativi.
Di nessuna cosa, mi par chiaro, il mondo odierno s'occupa tanto (col desiderio veramente, e diciam pure coll'invidia, più assai che non col possesso), quanto di godere. È vero che ci riesce poco; e però molto spesso è preso da non so quale disperata manìa di farla finita. Il come, se parliam del mondo planetario, non dipende dall'uomo, ma dalla Natura; per il mondo propriamente umano, la cosa è assai meno difficile: in ritaglio, col suicidio; in combutta, colla guerra.
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