Bisogna non lasciar immiserire, anzi esagerare bisogna, le aspettative, le speranze, gl'ideali: bisogna volere più che uomini, per avere degli uomini. Se io potessi sperare, senza cader nell'assurdo, d'aver ombra di autorità presso le donne del mio paese, direi loro: Non temiate di avere nella patria una rivale, e in Dio un usurpatore. Le donne italiane non ebbero mai più cavallereschi amanti, di quello che nei giorni in cui la gioventù sfidava, coi loro nomi sulle labbra, il carcere duro, il piombo e il capestro; non ebbero mai più devoti figliuoli, di quelli che, con Mazzini e coi martiri di Belfiore, credevano in Dio: val quanto dire nel supremo ideale di una legge, che governi coll'equilibrio delle forze l'universo, e l'uomo colla idea del dovere. Seminate l'ideale, e avrete messe d'eroi.
Non vi prometto con questo che scompariranno il suicidio e la guerra; ma, di epidemie, li ridurrete ad essere - ed è tutto quello che la società umana possa sperare - casi sporadici. Quando l'obbiettivo è collocato così in alto da scomparire al suo confronto tutte le basse soddisfazioni degli istinti, delle vanità, delle cupidigie volgari, si può far di meno del suicidio; solo a partita disperata per l'altrui, non per la propria salvezza, v'è luogo per il magnanimo sagrifizio della vita, tutt'altra cosa dal fiacco abbandono. Già un mezzo secolo fa, un ottimo libro (Il suicidio, il sagrifizio della vita e il duello, Saggi psicologici e morali del dott. Carlo Ravizza, Milano, Branca, 1843) ha messo in piena luce il gran trinomio.
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