A noi sia conceduto l'entrarvi, per quel che può valere la debolezza del nostro acume.
La primavera, rinascente sotto i baci del sole e le carezze de' fiori, fu sempre il sogno più caro degli artisti, che non amano staccarsi dagli ideali della vita. Ma, pur troppo, fatte poche eccezioni, noi non sappiamo più assurgere alla imitazione de' tipi naturali senza esagerarli o sformarli. Egli è che noi siamo come morti alle primavere eterne della natura e dell'arte. Forse della stessa natura non intendiamo più le vere bellezze, non già perchè dessa, immortale, siasi allontanata da noi, ma perchè noi ci siamo allontanati da essa. Nè basta che pochi le sieno rimasti fedeli. Pare che essa ami l'intiera adorazione de' genj. E la Storia, di fatti, co' suoi monumenti politici e religiosi prova ancora oggidì l'universalità del culto che i popoli di ogni tempo e di ogni paese resero costantemente alla natura nelle sue rifioriture annuali. «Non s'avevano - dice il Dupuis - altri Dei che il mondo e le sue parti più attive e brillanti: il Cielo, la Terra, il Sole, la Luna, le Piante, le Stelle, gli Elementi, e tutto ciò che reca il carattere di causa e di perpetuità. E però si chiamavano Iddii naturali. Dipingere e cantare il mondo e le opere sue, era altre volte un dipingere e cantare la divinità: specie in quella felice stagione, che oggi, come allora, si mostra in tutta la bellezza delle sue forme e nella piena attività delle sue forze, variamente operante e gioconda, giovane, amabile e graziosissima» (Origine de tous les cultes, c. 2).
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