I Greci - al dire di Schlegel - crearono la poetica della felicità, chiamarono Venere la Bellezza primaverile e la imaginarono seguìta dalle Grazie decenti. Fatto non meno psicologico che artistico per noi, che andiamo ogni dì più perdendo la genialità, che ci traspare ancora da' capolavori dell'arte antica. Non ci accorgiamo che sarebbe doppio il guadagno nello studiarla per conservarla, noi, cui è pregio cogliere la natura sul fatto, esclusa ogni rappresentazione d'arte pagana, ogni invenzione, che non abbia fondamento sul vero. Ho detto studiare la genialità dell'arte antica, non tentarne la riproduzione, il che non potrebbe essere consentito dal genio della società moderna.
Riferisce Luciano che gli antichissimi Indiani aveano rappresentato in uno de' loro templi il Dio della luce sopra un carro tirato da quattro cavalli. Da Omero ed Esiodo sino a Guido Reni e all'Appiani, non s'era trovata un'immagine più attraente per dipingere l'Aurora ed il Sole. A quasi un secolo di distanza, quale grande e sana riforma si è da noi compiuta! Oggi i pittori di paese e di genere esprimono sino alle più lievi sfumature tutte le gradazioni d'ombra e di luce, e noi da quelle parvenze di vero ci sentiamo altamente commossi. Quel raggio di sole che, in un quadro dell'Induno, penetra un mattino dalla finestra della povera sarta ed illumina il ritratto dell'eroe de' due mondi - l'idolo del padre suo - ond'essa sospende il suo lavoro di cucito e resta come trasfigurata da quella specie di nuova e non attesa apparizione, vale per noi più che i mille cocchi d'Apollo, trascinati da sbuffanti destrieri, che trassero in estasi tutti i nostri nonni e bisnonni!
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