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      Forzati a spendere in fatiche materiali e monotone l'intera giornata, che cosa era per essi, costretti a combattere colla fame, la libertà, se non una illusione, un'amara ironia? Perché nol fosse, sarebbe stato necessario che gli uomini delle classi agiate avessero consentito a ridurre il tempo dell'opera, a crescerne la retribuzione, a procacciare un'educazione uniforme gratuita alle moltitudini, a rendere gl'istrumenti del lavoro accessibili a tutti, a costituire un credito pel lavoratore dotato di facoltà e di buone intenzioni.
      Or perché lo avrebbero fatto? Non era il benessere lo scopo supremo della vita? Non erano i beni materiali le cose desiderabili innanzi a tutte? Perché diminuirsene il godimento a vantaggio altrui? S'aiuti adunque chi può. Quando la società assicura ad ognuno che possa lo esercizio libero dei diritti spettanti alla umana natura, fa quanto è richiesto di fare. Se v'è chi, per fatalità della propria condizione, non può esercitarne alcuno, si rassegni e non incolpi nessuno. Era naturale che così dicessero infatti. E questo pensiero delle classi privilegiate di fortuna, riguardo alle classi povere, diventò rapidamente pensiero di ogni individuo verso ogni individuo. Ciascun uomo prese cura dei propri diritti e del miglioramento della propria condizione, senza cercare di provvedere all'altrui; e quando i proprii diritti si trovarono in urto con quelli degli altri, fu guerra: guerra non di sangue, ma d'oro e di insidie: guerra meno virile dell'altra, ma egualmente rovinosa: guerra accanita, nella quale i forti per mezzi schiacciano inesorabilmente i deboli o gli inesperti.


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Doveri dell'uomo
di Giuseppe Mazzini
pagine 134