L'immagine di quei proscritti, parecchi dei quali mi furono più tardi amici, mi seguiva ovunque nelle mie giornate, mi s'affacciava tra i sogni. Avrei dato non so che per seguirli. Cercai raccoglierne nomi e fatti. Studiai, come meglio potei, la storia del tentativo generoso e le cagioni della disfatta. Erano stati traditi, abbandonati da chi aveva giurato concentrare i loro sforzi all'intento; il nuovo re aveva invocato gli Austriaci: parte delle milizie piemontesi li aveva preceduti in Novara; i capi del moto s'erano lasciati atterrire dal primo scontro e non avevano tentato resistere. Tutte queste nozioni ch'io andava acquistando sommavano a farmi pensare: potevano dunque, se ciascuno avesse fatto il debito suo, vincere; perchè non si ritenterebbe? questa idea s'impossessava più sempre di me, e l'impossibilità d'intravvedere per quali vie si potesse tentare di tradurla in fatti m'anneriva l'anima. Sui banchi dell'Università - v'era allora una Facoltà di Belle Lettere che precedeva di due anni i corsi legali e medici e ammetteva i più giovani - di mezzo alla irrequieta tumultuante vita degli studenti, io era cupo, assorto, come invecchiato anzi tratto. Mi diedi fanciullescamente a vestir sempre di nero; mi pareva di portar il lutto della mia patria. L'Ortis che mi capitò allora fra le mani mi infanatichì: lo imparai a memoria. La cosa andò tanto oltre, che la mia povera madre temeva di un suicidio.
Più dopo quella prima tempesta si racquetò; e diè luogo a men travolti pensieri.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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