Erano in lui due esseri combattenti, vincenti e soggiacenti alternativamente: mancava il nesso comune, mancava quell'armonia che non discende se non da una forte credenza religiosa o dagli impulsi prepotenti del core. Stimava poco: amava poco. Io cercava in lui una scintilla di quell'immenso affetto che si versava dagli occhi di Carlo Bini, mentr'egli commosso dalla lettura delle magnifiche pagine che i giovani d'Italia sanno a memoria, lo guardava d'un guardo di madre pensoso unicamente dal suo soffrire. Erano i tempi (1829), nei quali ci venivano, aspettate con ansia, di Francia, le lezioni storiche di Guizot e le filosofiche di Cousin, fondate su quella dottrina del Progresso che contiene in sè la religione dell'avvenire, che splendeva, rinata da poco, nei discorsi eloquenti di quei due e che non prevedevamo dovesse miseramente arrestarsi un anno dopo all'ordinamento della borghesia e alla Carta di Luigi Filippo. Io l'aveva attinta dal Dante nel Trattato della Monarchia, pochissimo letto e sempre frainteso. Ed io parlava con calore dei due Còrsi, della Legge, del futuro che doveva presto o tardi irrevocabilmente escirne. Guerrazzi sorrideva tra il mesto e l'epigrammatico. E quel sorriso m'impauriva come s'io avessi intravveduto tutti i pericoli di quell'anima privilegiata: m'impauriva di tanto, ch'io partii senza parlargli a viso aperto del motivo principale della mia gita e commettendo a Bini di farlo. E nondimeno io l'ammirava potente e benedetto d'un nobile orgoglio, che, come dissi, m'era mallevadore dell'avvenire.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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