Stringemmo allora una fratellanza che più tardi si ruppe, non per mia colpa.
Tornato in Genova, trovai mali umori tra gli alti dignitarî dell'Ordine. A me fu detto di non dare conto del mio lavoro al Doria; poco dopo, redarguito di non so che, egli ebbe intimazione da chi stava più in alto di lui d'allontanarsi per un certo tempo dalla città, e promise farlo. Ma un giorno ch'io esciva di casa sull'alba per recarmi a una campagna (Bavari) dove stava allora mia madre, lo incontrai sulla via, e ne feci riferta. Non so di dove egli escisse a quell'ora; ma tramava, irritato, vendetta contro l'Ordine, i suoi lavori e i nuovi affigliati.
Scoppiava l'insurrezione francese del luglio 1830. I capi s'agitavano senza intento determinato, aspettando libertà da Luigi Filippo. Noi giovani ci diemmo a fondere palle e a prepararci per un conflitto che salutavamo inevitabile e decisivo.
Non ricordo le date; ma poco dopo le tre Giornate di Francia, mi venne ingiunto di recarmi ad ora determinata al Lion Rouge, albergo esistente allora nella salita San Siro, dove avrei trovato un maggiore Cottin di Nizza o Savoja, il quale avea ricevuto, dicevano, il primo grado di Carboneria da Santa Rosa e invocava il secondo ch'io doveva conferirgli. Eravamo noi giovani maneggiati dai Capi a guisa di macchine e sarebbe tornato inutile chiedere perchè scegliessero me a quell'ufficio invece d'altri a cui fosse già noto il maggiore. Accettai quindi l'incarico. Soltanto, côlto da non so quale presentimento, mi intesi, prima di compierlo, coi giovani Ruffini, intimi di mia madre, intorno a un modo di corrispondenza segreta da praticarsi per mezzo delle lettere della famiglia nel caso possibile d'imprigionamento a cui soggiacessi.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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