Riuscii a liberarmi di ogni cosa: quella gente aveva le tendenze, non l'ingegno della tirannide. La lunga perquisizione fatta in casa e fra le mie carte non fruttò scoperte pericolose. Fui nondimeno, e quantunque il commissario (Pratolongo) sostasse e mandasse per ordini, tratto alla caserma dei carabinieri in Piazza Sarzano.
Là fui interrogato da un vecchio commissario per nome Bollo, il quale, dopo avermi tentato in ogni modo possibile, nojato della mia freddezza, pensò atterrirmi provandomi ch'io era tradito, e mi disse a un tratto ch'io, il tal giorno, la tal ora, nel tal luogo, aveva iniziato al secondo grado di Carboneria, il maggiore Cottin. Un lieve brivido mi corse l'ossa; mi contenni nondimeno, e risposi ch'io mal poteva confutare un romanzo, ma sperava che il maggiore sarebbe venuto a confronto con me.
Non venne. Egli aveva, accettando la parte di agente provocatore, stipulato che non se ne sarebbe fatto motto nel processo. Rimasi parecchi giorni nella caserma, esposto al sogghigno e ai motteggi dei carabinieri, il più letterato fra i quali m'additava ai compagni come una nuova edizione di Jacopo Ortis, corrispondendo, mercè un pezzetto di matita ch'io m'era trovato mangiando, fra i denti - il pranzo m'era mandato da casa - e col quale io scriveva nella biancheria, rimandandola. Diedi in quel modo avviso agli amici perchè distruggessero alcune carte pericolose agli affigliati toscani. Seppi che erano stati imprigionati altri con me, Passano, Torre, un Morelli avvocato, un Doria librajo, ed uno o due ignoti: nessuno dei giovani affigliati da me.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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