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      Il Centro dell'Isola, dov'io feci una breve corsa con Antonio Benci, toscano, collaboratore dell'Antologia e ricovratosi, per minaccia di persecuzioni, in Corsica, guardava unanime ai Francesi come a nemici. Quei ruvidi ma buonissimi montanari, armati quasi tutti, non parlavano che di recarsi a combattere nelle Romagne; e c'invocavano Capi. Leali, ospitali, indipendenti, gelosi oltremodo delle loro donne, avidi d'eguaglianza e sospettosi del forestiero per temenza di violata dignità, ma fraterni a chi stende loro la mano come d'uomo a uomo e non come d'incivilito a selvaggio, vendicativi ma generosamente e di fronte e avventurando nella vendetta la vita, quei Corsi del centro mi sono tuttavia un ricordo d'affetto e di speranza ch'essi non saranno sempre divelti da noi. La Carboneria, recatavi dai profughi napoletani, era allora dominatrice dell'Isola, e i popolani ne facevano quel che ogni uomo dovrebbe fare d'una associazione liberamente accettata, una specie di religione. Come alla vigilia d'una grande impresa, molti i quali avevano giurato vendetta l'un contro l'altro, si riconciliavano in essa. N'era capo venerato dagli isolani un Galotti, lo stesso che riconsegnato al tiranno di Napoli da Carlo X stava a rischio di morte, quando la rivoluzione di luglio lo rivendicò a libertà. Conobbi con lui La Cecilia ed altri proscritti del mezzogiorno d'Italia, convenuti da più punti nell'isola, pel disegno dei miei nuovi amici politici.
      Ed era di recarsi, come dissi, nel Centro, ma capitanando una colonna di due o più migliaja di Corsi ch'erano ordinati e con armi.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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