E vi fu un momento in Italia, Sire, in cui gli schiavi guardarono in voi siccome in loro liberatore; un momento che il tempo v'aveva posto dinanzi, e che, afferrato, dovea fruttarvi la gloria di molti secoli. E vi fu un altro momento in cui le madri maledissero al vostro nome, e le migliaja vi salutarono traditore, perchè voi avevate divorata la speranza e seminato il terrore. Certo, furono momenti solenni, e voi ne serberete ancora gran tempo la memoria. Noi abbiamo cercato sul vostro volto i lineamenti del tiranno; e non v'erano; nè l'uomo che avea potuto formare un voto santo e sublime potea discendere a un tratto fino alla viltà della calcolata perfidia. Però abbiamo detto: nessuno fu traditore fuorchè il destino. Il principe lo intravide da lunge, e non volle affidare all'ostinazione la somma delle speranze italiane. Forse anche, l'alto animo suo rifuggì dall'idea che la calunnia potesse sfrondare il serto più immacolato, e mormorare: il principe congiurò la libertà della patria per anticiparsi d'alcuni anni quel trono che nessuno potea rapirgli.
Così dicemmo: ora vedremo, se c'ingannammo: vedremo se il re manterrà le promesse del principe.
Intanto le moltitudini non s'addentrano nelle intenzioni: afferrano l'apparenza delle cose, e insistono sulle prime credenze. Ora quel tempo è passato; ma le speranze, i rancori, i sospetti e le simpatie vivono tuttavia. Non v'è cuore in Italia, che non abbia battuto più rapido all'udirvi re. Non v'è occhio in Europa che non guardi ai vostri primi passi nella carriera che vi s'apre davanti.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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