Quel di Bologna affermava d'essersi costituito perchè la dichiarazione di Monsignor Clarelli, prolegato, annunziando la di lui intenzione di abbandonare interamente l'amministrazione politica della provincia, era urgente d'evitar l'anarchia. E anche quando la rivoluzione trionfante, secura all'interno, avea suggerito stile più ardito, quel Governo che concentrò in sè a poco a poco la direzione generale del moto, non aveva osato richiamarsi al diritto che vive eterno in ogni popolo, ma s'era affaccendato a desumere la libertà di Bologna dalla tradizione locale, dalla convenzione stretta nel 1447 tra Bologna e il Papa Nicolò V; e un lungo, pedantesco e poco degno scritto del Presidente Vicini, in data del 25 febbrajo(10) commentava da legulejo la tradizione. In Parma, a un Fedeli che, scelto a capo della Guardia Nazionale, ricusava, a meno d'un permesso della Duchessa, il Governo aveva concesso lo richiedesse e n'era stato rimeritato da lui poco dopo con una congiura retrograda: poi, nello stremo delle finanze, ordinava si continuassero gli stipendî agli impiegati della Corte scacciata.
Mentre il sorgere dell'Italia Centrale aveva messo in fermento gli spiriti in Napoli, nel Piemonte e per ogni dove tutti aspettavano con ansia che dal centro iniziatore dell'impresa giungesse l'ispirazione del da farsi, il decreto dell'11 febbrajo aveva freddamente annunziato che "Bologna non avrebbe interrotte le antiche relazioni d'amicizia coll'altre contrade, nè concederebbe la menoma violazione dei loro territorî, sperando che in ricambio nessun intervento avrebbe luogo a suo danno: il solo obbligo della difesa potrebbe trascinarla all'azione.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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