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      Ed era quello, prevalente anche oggi pur troppo, di fidare la scelta dei capi delle insurrezioni a quei che non le hanno operate. In virtù d'un senso di legalità buono in sè, ma spinto oltre i termini del dovere; per un timore, onorevole nell'origine ma esagerato e improvvido, di soggiacere all'accusa di anarchia o d'ambizione; per un'abitudine tradizionale di fiducia, giusta solamente in condizioni normali, negli uomini provetti d'anni e di nome più o meno illustre nelle loro località; finalmente per una assoluta inesperienza della natura e dello sviluppo dei grandi fatti rivoluzionarî, il popolo e la gioventù avevano ceduto sempre il diritto di dirigere ai primi che, con un'apparenza di legalità, si erano presentati ad esercitarlo. La cospirazione e la rivoluzione erano state sempre rappresentate da due ordini diversi d'uomini: gli uni messi da banda dopo d'avere rovesciato gli ostacoli, gli altri sottentrati il dì dopo a dirigere lo sviluppo d'una idea che non era la loro, d'un disegno che non avevano maturato, d'un'impresa della quale non avevano studiato mai le difficoltà o gli elementi e colla quale non si erano, nè per sacrificio nè per entusiasmo, immedesimati. Quindi l'andamento del moto trasformato in un subito. Così, nel 1821, in Piemonte, lo sviluppo del concetto rivoluzionario era stato affidato ad uomini i quali, come Dal Pozzo(13), Villamarina, Gubernatis, erano rimasti stranieri alla cospirazione. Così in Bologna s'erano accettati a membri del governo provvisorio uomini approvati dal governo stesso che si rovesciava: il loro titolo era un editto di monsignore Paracciani Clarelli.


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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano
pagine 1484

   





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