No: ristettero quasi attoniti della grandezza dell'opera, o camminarono tentennando, come se la via gloriosa che essi calcavano fosse via d'illegalità, o di delitto. Illusero il popolo a sperare nell'osservanza di principî ch'essi traevano dagli archivi de' congressi o da' gabinetti: addormentarono l'anime bollenti, che anelavano il sacrificio fecondo, nella fede degli ajuti stranieri: consumarono nella inerzia, o in discussioni di leggi che non sapevano come difendere, un tempo che doveva consecrarsi tutto a fatti magnanimi, e all'armi. Poi, quando delusi nei loro calcoli, traditi dalla diplomazia, col nemico alle porte, colla paura nel core, non videro che una via d'ammenda generosa all'errore, la morte su' loro scanni, rinnegarono anche quella, e fuggirono. Ora negano la fede nella nazione, mentr'essi non tentarono mai suscitarla coll'esempio: deridono l'entusiasmo, ch'essi hanno spento coll'incertezza e colla codardia. Sia pace ad essi però che non traviarono per tristo animo; ma dovevano essi assumere il freno d'una intrapresa, che non s'attentavano neppure di concepire nella sua vasta unità?
Ma nelle rivoluzioni ogni errore è gradino alla verità. Gli ultimi fatti hanno ammaestrato la crescente generazione più che non farebbero volumi di teoriche, e noi lo affermiamo, coi moti Italiani del 1831, s'è consumato il divorzio tra la Giovine Italia e gli uomini del passato.
Forse a convincere gl'Italiani, che Dio e la fortuna stanno coi forti e che la vittoria sta sulla punta della spada, non nelle astuzie de' protocolli, si volea quest'ultimo esempio, dove la fede giurata sui cadaveri di sette mila cittadini fu convertita in patto d'infamia e di delusione.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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