Protestarono i primi, ma indarno. Protestarono pure con nobile ardire, il 17 luglio, cinque avvocati genovesi estranei ai procedimenti, ed ebbero risposta negativa il 25. Fu chiesto che ai civili si concedesse almeno il diritto di scegliersi difensori, e s'ebbe rifiuto. I denunziatori, ai quali era promessa la vita, mal s'accordavano tra di loro: due furono messi, il dodici maggio, nella stessa prigione; tre il 23, quattro il 30, e si concertarono. S'intese allora il sergente Turff a dichiarare, in appoggio alla testimonianza d'un Piacenza, soldato, d'avere somministrato egli stesso all'Associazione minuti ragguagli intorno all'Artiglieria; e nondimeno, in sette esami anteriori, ei non avea fatto cenno di questa gravissima circostanza. Rimanevano, a ogni modo, incancellabili, le contradizioni dei primi esami, contradizioni spinte al punto di dirsi taluni affigliati alla Giovine Italia dal 1830, quando l'Associazione non esisteva. Su rivelazione d'uomini siffatti si pronunziarono le sentenze: sentenze di morte anche contro prigionieri provati innocenti d'ogni attiva complicità, ma rei d'avere saputo e non denunciato(31). Le difese furono una ironìa. I documenti si davano ai difensori mutilati, imperfetti, e per tempo sì breve da non lasciar campo a maturo esame. E i difensori appartenenti tutti all'esercito, furono non molto dopo, generalmente, puniti: forse avevano tradito nella voce o nella espressione del volto il commovimento dell'animo. Tra una sentenza e l'altra escivano decreti che il Governo non si sarebbe attentato di pubblicare in tempi normali, che minacciavano di galera e talora di morte qualunque darebbe circolazione in Piemonte a scritti avversi ai principî della monarchia: decreti infami in ogni tempo, che attribuivano ricompensa di cento scudi a chi si farebbe denunziatore.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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