Lo incontrai nuovamente dopo la caduta di Roma, in Ginevra. Mi parlò; e indifferente a biasimo o lode, gli parlai. Egli accusava i lombardi di non avere secondato il re; io gli narrai quelle storie di dolore ch'io avea veduto svolgersi, egli no: gli provai la falsità dell'accusa. Parve convinto e insistè perch'io scrivessi su quell'argomento. Dopo un certo tempo, tornato in Londra, trovai ch'egli, giuntovi appena, avea pubblicato un libello contro i milanesi dov'egli li chiamava persino codardi. Nauseato e dolendomi di vedere così calunniato da un Italiano, tra stranieri, un popolo di prodi traditi, deliberai di non più vederlo e non lo vidi mai più.
Quando questa mia rivelazione fu letta in Torino, si levò tale una tempesta contro il Gallenga ch'ei s'avvilì. Scrisse lettere sommesse e pentimenti del trascorso giovanile: diede la sua dimissione di Deputato: rimandò non so qual croce che gli avevano appiccata al petto, sì come indegno di farne mostra, e dichiarò solennemente nel Risorgimento del novembre 1856 ch'ei rinunziava d'allora in poi ad ogni atto e scritto politico. Poi, mendicò di bel nuovo ad un collegio di ignari la Deputazione e si fece corrispondente pagato, per le cose d'Italia del Times, nelle cui colonne egli versa due volte la settimana oltraggio e calunnie sui volontari Garibaldini, sull'esercito meridionale, sugli artigiani associati, sul Partito d'Azione e su me. È decretato che ogni uomo il quale s'accosta alla setta dei moderati debba smarrire a un tratto senso morale e dignità di coscienza?
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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