Avevamo scritto Unità repubblicana sulla nostra bandiera. Volevamo fondare una Nazione, creare un Popolo. Cos'era, per uomini che s'erano proposto intento sì vasto una disfatta? Non era appunto parte dell'opera educatrice quella d' insegnare ai nostri l'imperturbabilità negli avversi eventi? Potevamo insegnarla senza darne l'esempio noi? E non avrebbe la nostra abdicazione somministrato un argomento a quanti ritenevano impossibile l'Unità?(36) Il guasto radicale in Italia, ciò che la condannava all'impotenza, era visibilmente non una mancanza di desiderio, ma una diffidenza delle proprie forze, una tendenza ai facili sconforti, un difetto di quella costanza, senza la quale nessuna virtù può fruttare, uno squilibrio fatale tra il pensiero e l'azione. L'insegnamento morale che dovea porre rimedio a quel guasto non era possibile in Italia, sotto il flagello persecutore delle polizie, per via di scritti o discorsi, su larga scala, in proporzioni eguali al bisogno. Era necessario un apostolato vivente: un nucleo d'uomini italiani forti di costanza, inaccessibili allo sconforto, i quali si mostrassero, in nome d'una Idea, capaci di affrontare col sorriso della fede persecuzioni e sconfitte, cadenti un giorno, risorgenti il dì dopo, e presti sempre a combattere e credenti sempre, senza calcolo di tempo o di circostanze, nella vittoria finale. La nostra era, non setta, ma religione di patria. E le sette possono morire sotto la violenza: le religioni non mai.
Scossi da me ogni dubbiezza, e deliberai proseguir sulla via.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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