Avrei desiderato che almeno le due grandi istituzioni del medio evo, l'impero ed il Papato, oggi cadenti a frantumi, senza gloria, senza onore, senza eredità, fossero state capaci di morire rappresentate da uomini inspirati, come chi sa d'aver compito sulla terra una missione sublime e trasmette a un tempo alle generazioni la formola dell'epoca dominata dal proprio concetto e la prima parola della nuova. Ma ciò non è. Quelle rovine non hanno più se non una sorgente di poesia, quella dell'espiazione. La condanna del Papato non vien da noi, ma da Dio: da Dio che chiama il popolo a sorgere e a fondare la nuova unità nelle due sfere del dominio spirituale e del temporale. Noi non facciamo che tradurre il pensiero dell'epoca. E l'epoca respinge ogni potenza intermedia tra sè e la sorgente della propria vita: essa si sente capace di collocarsi al cospetto di Dio e chiedergli, come Mosè sul Sinai, la legge dei proprî fati. L'epoca vi abbandona il papa per ricorrere al Concilio generale della chiesa, vale a dire di tutti i credenti: Concilio che sarà nello stesso tempo ciò ch'oggi chiamano costituente, perchè riunirà ciò che fu sempre finora diviso e fonderà quell'unità senza la quale non esiste fede nè morale pratica. Il papato deve perire, perchè ha falsato la propria missione e rinnegato padre e figli ad un tempo: e padre e figli gli maledicono. Il papato ha ucciso la fede sotto un materialismo più assai funesto e abbietto di quello del XVIII secolo, dacchè quest'ultimo aveva almeno il coraggio della negazione, mentre il materialismo papale procede ravvolto nel mantello gesuitico.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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