Ma non avrei di certo trovato in me forza per vincere la tempesta e rassegnarmi, se questa grande idea della rigenerazione italiana compita con forze proprie non m'avesse dato il battesimo d'una fede. Distruggetela; e per che o per chi lotterei? A che affaticarci, se l'Italia non può sorgere che dopo una grande insurrezione francese?
Io ho provato, Signore, un profondo dolore, quando, dopo d'avere pianto e sorriso sugli ultimi versi del vostro capo XVIII - e detto a me stesso: ecco l'uomo che c'intenderà - e scritto a voi l'animo mio coll'entusiasmo e colla franchezza d'una fiducia senza confini - ho udito dal vostro labbro, invece della confortatrice parola ch'io sperava mandereste ai miei fratelli di patria, il freddo consiglio che m'è toccato d'intender più volte dai diplomatici e dai falsi profeti: rimanetevi inerti e aspettate; forse, la libertà vi verrà dal nord, forse, dall'ovest della Germania o dalla Penisola Iberica. Ma io lessi nelle vostre pagine inspirate, che la libertà splenderebbe su noi, quando ciascuno di noi avrà detto a sè stesso: voglio esser libero; quando per diventarlo ciascuno di noi sarà pronto a sacrificare e soffrire ogni cosa. Dirò io che noi non siamo finora pronti a sacrificare e patire quanto dovremmo? Lo so; ma perchè oggi ancora l'anima nostra è ravviluppata di dubbio, non avremo certezza mai? Perchè la fede or ci manca, dobbiamo disperare dell'avvenire? Io non vi chiedeva di darci il segnale della battaglia: vi chiedeva per l'Italia ciò che avete dato alla Polonia, un commento al consiglio che ho citato dal vostro libro.
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Scritti
Politica ed Economia
di Giuseppe Mazzini
Editore Sonzogno Milano pagine 1484 |
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